venerdì 7 settembre 2012

Lotta all'Islam e strumentalizzazione della questione femminile - Capitolo 1


Partiamo da qui, da questo manifesto elettorale. E per un attimo proviamo prescindere dalla paternità (leghista) del manifesto.


Proviamo ad andare oltre.
Che cosa vediamo?

Due immagini contrapposte:

a sinistra una donna con il velo, lo hijab, all'interno di una gabbia. Sul suo volto un'espressione disperata.
A destra due donne, che potremmo definire "in carriera", presumibilemente sul luogo di lavoro, truccate, agghindate e con un'espressione facciale tutt'altro che disperata.


In fondo al manifesto, una scritta: "Siete disposti a rischiare?". E ancora "No alla Turchia in Europa".

Tralasciamo domande del tipo: 
1. chi rischia? le donne? e allora perché non usano il femminile (siete dispostE a rischiare)? forse perchè allora dovrebbero (dovremmo) ammettere che il problema sono gli uomini, piuttosto che le religioni e le etnie?
2. o forse a rischiare sono gli uomini? che cosa rischiano? di tornare a non meno di 60 anni fa, quando il delitto d'onore era ancora consentito dalla legge e impunito? non è che forse rischierebbero di trovarsi a proprio agio con le mogli dietro le sbarre? 
3. e ancora, ci si vanta tanto della nostra "civiltà", del fatto che sia così ben radicata; ma allora come mai la si difende a spada tratta, con tale accanimento? non è che forse tutta questa "civiltà", quando si tratta di donne, assume confini molto ma molto più labili?

Tralasciamo queste domande e andiamo al punto della questione: l'uso che si fa, all'interno delle società occidentali, della questione delle donne islamiche ovvero di religione musulmana. L'uso strumentale che si fa della questione femminile per alimentare e legittimare pregiudizi e teorie xenofobe, razziste e filo-occidentali.


Le argomentazioni su cui generalmente si fondano tali teorie xenofobe, rispetto alla questione delle donne islamiche sono queste:

  1. Le donne islamiche hanno l'obbligo di coprirsi, di indossare il velo, il burqa, il chador.
  2. Le donne islamiche non hanno gli stessi diritti civili degli uomini.
  3. Le donne islamiche possono essere picchiate dal marito se lo contraddicono, stuprate se non adempiono ai doveri coniugali e uccise in caso di adulterio.

Analizziamo un punto alla volta, nel tentativo di fare le differenze con quanto accade nel nostro bel Paese e di mettere in evidenza come questa contrapposizione fra donne islamiche e donne occidentali sia fittizia.


Il velo.

Premettiamo che esistono molti tipi di velo, più o meno lunghi, che si usano in regioni geografiche differenti seppur della medesima religione musulmana.
Il più diffuso è lo hijab, ossia il velo che copre il capo e il collo. Questo viene menzionato nel Corano in termini molto generici e non come un'indicazione da seguire in maniera obbligatoria.

"Il velo appare solo una volta nel Corano come raccomandazione all'interno del  comportamento della decenza. Ma questa raccomandazione serve allo stesso tempo, sia per gli uomini che per le donne. [...] Il concetto di hijab è più che  il velo islamico. Riguarda la modestia nel comportamento, il rispetto della vita privata, e con il tenere un atteggiamento dignitoso in ogni momento." (Amina Nasreen) 

Tant'è che con l'avvento della religione islamica in Oriente, quindi ai tempi del califfato, l'uso del velo non riguardava tanto le donne, quanto il califfo: quest'ultimo utilizzava un drappo di seta, appunto lo hijab, per tutelarsi dagli sguardi importuni dei propri congiunti. Con il passare del tempo, l'uso del velo è mutato. E' diventato una peculiarità femminile, sebbene anche gli uomini siano chiamati a indossare un copricapo nei momenti di preghiera. Per quanto riguarda le donne, da "accessorio" necessario nei luoghi e/o durante momenti di preghiera e meditazione, il velo è poi diventato un "accessorio" da indossare nei luoghi pubblici, ovvero fuori dalle proprie mura domestiche.

Non entriamo nel merito dell'uso del velo come "giusto" o "sbagliato" (piuttosto vi rimandiamo alla lettura di un articolo - cliccate qui - che potrà, speriamo, insinuarvi qualche dubbio...), cerchiamo piuttosto di capire se un rituale simbolico di questo tipo - cioè l'uso di un abbigliamento specifico per le donne - sia davvero solo limitato alle culture medio orientali e alla religione musulmana.








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No, non sono donne islamiche.


Sono suore.










Le suore sono, sì, obbligate ad indossare un abito che le copra dalla testa ai piedi.

Eppure nessun* considera tale rituale simbolico come segno e frutto di oppressione.






Ma i dictat non riguardano solo le monache...





Devi essere magra, ma non rachitica perchè le forme mettono gli uomini di buon umore, non deve esserci traccia di un filo di cellulite sulle tue cosce perché - se ancora non lo sai e checchè ne dica l'OMS - la cellulite è una malattia e un medicinale può combatterla (se lo dice Somatoline ti puoi fidare), guai però se esci con un uomo e mangi insalata perché quello che mangi dice come sei a letto e tu devi essere una panterona, devi farlo impazzire. Nel frattempo tieni sotto controllo la crescita dei peli di baffeto, sopracciglia, ascelle, inguine, gambe e braccia, ma non con il rasoio perchè quello fa venire i peli incarniti, meglio un'allegra ceretta a caldo, frena la caduta dei capelli e mantienili sempre lucenti e morbidi come seta e con i riflessi di perla ("perché tu vali" ed è per questo che lo devi fare ovviamente). Non fare quell'espressione imbronciata che ti vengono fuori le rughe, e se è già troppo tardi spalmati il siero di giovinezza per dire stop ai segni del tempo. Svegliati presto la mattina per avere il tempo di fare una doccia e mettere un velo di trucco e un velo sullo slip, ma non arrivare in ufficio (ammesso che ovviamente un lavoro tu ce l'abbia) trasandata perchè se no il capo non te si incula, e lui ci tiene che tu abbia un abbigliamento radical chic da donna in carriera, lui che va a braccetto con Enzo Miccio e Carla Gozzi. Quando torni a casa, non dimenticare di attivare il deodorante per ambienti al gusto di rugiada di montagna, quello che batti le mani e fa "puff" perchè se no finisce che tuo figlio o il tuo fidanzato va a farla da Paolo. E, per carità, non farti trovare con le ciabatte! Indossa le comode ciabattine modello Marilyn Monroe, quelle piumate e con un bel tacco che rendono la tua camminata fra i fornelli (perchè ovviamente devi cucinare tu) e il divano fra il sensuale e il fresco di giornata. Nel frattempo non dimenticare di indossare un intimo sexy che ti stia bene come alla modella di Intimissimi e di pulire casa con i guanti della Vileda che ti lasciano le mani morbide e la french manicure intatta, in modo tale che tuo marito o il tuo fidanzato torni e abbia voglia di fare Bum Bum sul pavimento che luccica come un brillante.





I filo-occidentalisti risponderanno che non è la stessa cosa! Che nessuno obbliga le donne a sottostare a questi dictat! Che se una donna non sottostà, beh, mica qualcuno la sfregia con l'acido!

Forse no. Tuttavia, si può davvero parlare di libertà in un contesto culturale patriarcale che impone questi dictat? Si può davvero dire che una ceretta a cui mi sottopongo o il fatto che cucini e pulisca solo io una casa che condivido con un partner sia una scelta libera e non piuttosto che sia un atto di abnegazione e aderenza e sottomissione alla cultura patriarcale imperante?

In questo senso, che differenza c'è con l'indossare il velo?




Sfatiamo qualche altro mito e torniamo alla religione musulmana.

La donna musulmana, dal punto di vista della Shari'a, la legge islamica, le cui regole generali sono comuni per ambo i sessi, è in tutto equivalente all'uomo. Come l'uomo, anche la donna viene indirizzata alla conoscenza e al perseguimento di nobili qualita' morali, quali la generosità, la gentilezza, l'altruismo, la sincerità. Come l'uomo, è tenuta ad osservare i precetti religiosi generali, come l'adempimento della preghiera, il digiuno durante il mese del Ramadan, il pellegrinaggio alla Mecca, l'elemosina rituale.

La realtà dei vari paesi a maggioranza islamica non deve essere confusa con la realtà islamica, interpretata alla luce del Corano e degli insegnamenti del Profeta. In molti paesi a maggioranza islamica il divario tra condizione maschile e femminile è notevole, tuttavia non è attribuibile alla struttura del Corano in sè e ai precetti della fede musulmana.

Come afferma Amina Nasreen, femminista e musulmana:
"Dopo tre anni di studi dell'Islam, di ricerca sull'ermeneutica e l'esegesi del Corano, posso affermare in tutta tranquillità che le sole idee come religione misogina e radicata in un machismo vendicativo nei confronti delle donne, provengono da due fonti extra-coraniche: l'ignoranza della gente e gli sforzi del patriarcato per assicurare la sua egemonia dentro le nostre comunità. L'Islam è l'unica religione che stabilisce espressamente la parità tra uomo e donna e regola norme di convivenza con persone di altre religioni.Tuttavia l'Islam è stato oggetto di manipolazione da parte di quei potenti alleati con i veri nemici dell'uguaglianza. [...]
Non c'è alcuna contraddizione tra Islam e femminismo. Può essere contraria al femminismo una religione che stabilisce l'uguaglianza tra i membri dell'umanità come base fondamentale della convivenza sociale? Può essere in contrasto con l'Islam una prospettiva a favore della Giustizia Sociale di Genere?  Credo di no, assolutamente no. Questa idea è un trucco del patriarcato in cui cadono, purtroppo, molte donne, con l'unico risultato che alcune escludono altre e promuovono la diffidenza nei confronti di quelle che sono diverse."


Il problema è, dunque, l'interpretazione delle Scritture all'interno di una cornice culturale patriarcale.

Un'interpretazione che utilizza la stessa logica occidentale, quella che accomuna i movimenti pro-life e gli attacchi alla legge 194/78, le battaglie politiche xenofobe o anti-berlusconiane, la misoginia, l'omo e la transfobia.

Insomma, la logica per cui si parla di donne solo per scopi che con le donne non hanno nulla a che vedere: per proteggere gli embrioni, per arginare il rischio di una globalizzazione che includa l'apertura alle culture medio-orientali, per difendere le nostre "amate" e amabili radici culturali e religiose, per vincere le elezioni, per ottenere le dimissioni del Presidente del Consiglio, per ribadire il binarismo sessuale, per sancire l'omosessualità e la transessualità come innaturali.

Le aderenti al movimento delle donne iraniane, musulmane e/o laiche, lo sanno bene.
La loro lotta è diretta, non all’Islam inteso come fede o identità culturale, ma al suo utilizzo politico e alla sua interpretazione in senso antidemocratico e patriarcale, una strumentalizzazione resa possibile dalla stessa forma di Stato iraniano, basato sul monopolio dei religiosi, tutti di sesso rigorosamente maschile.
Con questo tipo di finalità, il velo assume un nuovo significato. Come lo assunse durante le lotte del 1978-1979, quando le donne scesero in piazza contro le ingiustizie e le iniquità di un regime che consideravano corrotto, autoritario e asservito all’occidente, quando l'Islam era sentito come un simbolo di libertà e di progresso piuttosto che di regressione.
Allora, per le donne, l’utilizzo dello hejab o del chador (tenuta iraniana nera che copre il corpo della donna dalla testa ai piedi), oltre che essere il simbolo di una rivendicazione culturale e identitaria contro l’occidentalizzazione imperiale, era l’unico modo per legittimare la loro presenza e la loro militanza nello spazio pubblico accanto agli uomini e il loro accesso a quella categoria di “popolo” che in un Paese come l’Iran, proprio a causa del dominio della cultura patriarcale, era stata da sempre considerata preclusa alle donne.











2 commenti:

  1. Condivido, ho appena "scoperto" il nuovo blog
    Ripasserò per un commento più articolo - entrando nel merito - uno di questi gg con un po' di tempo in più
    Per intanto benvenute nel web
    ;-)

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