giovedì 16 agosto 2012

C'è chi ancora nega l'esistenza del femminicidio


Facebook è solo un social-network, si sa, e il peso delle opinioni espresse attraverso il canale telematico viene comunemente considerato come relativo.
Ma si può davvero parlare di relatività quando ci si riferisce ad opinioni espresse in merito del femminicidio? Si può davvero dare poco peso alle parole di persone che definiscono il femminicidio come un’operazione mediatica?



L’episodio in questione risale a qualche tempo fa. Ma non è l’unico.
Chi frequenta l’ambiente dei social-network, nel tentativo di diffondere una cultura di genere, lo sa bene. Si legge di tutto. E i maschilisti che sbandierano il proprio orgoglio virile e misogino sono solo una parte di quello che fa rabbrividire. Capita, per esempio, che ci si imbrigli in conversazioni ai limiti del paranormale con donne che si definiscono femministe “intelligenti” o "serie" differenziandosi dalle “nazifemministe” [nazifemminismo: ossimoro, categoria concettuale utilizzata per calunniare i movimenti femministi, poiché nessun movimento femminista – nel corso della storia – è mai stato nazista o a favore dell’oppressione degli esseri umani].

Riprendo questo episodio per rispondere una volta per tutte alle persone – ahimè, numerose – che si ostinano a negare l’esistenza di un fenomeno che da sempre esiste, che da sempre rappresenta una piaga sociale trasversale alle culture, ai luoghi, ai contesti e alle epoche, un fenomeno che ancora oggi continua ad essere misconosciuto. E, Le Arrabbiate lo dicono sempre, “ciò che non si nomina non esiste”. Parlare di femminicidio significa dare legittimità ad una realtà che esiste. Ostinarsi a parlare di violenza, come se la variabile “sesso - genere femminile” non abbia alcuna rilevanza, significa rendersi complici di una cultura e di una impostazione societaria che chiude un occhio (se non tutti e due) di fronte alle sempre più numerose morti e violenze ai danni delle donne. A chi mai verrebbe in mente di dire che non esiste la pedofilia, che questo concetto è un prodotto mediatico perché la violenza riguarda tutti? A nessuno, temo. Le eccezioni si sollevano solo quando si tratta di donne (e, se vogliamo dirla tutta, quando si tratta di tutte le categorie che minano l’eteronormatività e il patriarcato: donne, persone omosessuali e bisessuali, persone transgender, intersessuali, crossdresser, queer).

Rispondiamo a chi misconosce e rinnega l’esistenza del femminicidio, diffondendo un documento redatto dall’avvocata Barbara Spinelli, che riporta quanto emerso nel corso della 20° Sessione del Consiglio dei Diritti Umani, presso la sede delle Nazioni Unite di Ginevra, in data 25 giugno 2012: Rashida Manjoo - Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne – ha presentato, per la prima volta, il Rapporto Tematico Annuale sugli Omicidi Basati sul Genere, ed il Rapporto sulla Violenza, sulla scorta delle sua missione in Italia lo scorso gennaio.

Rispondiamo a chi, chiudendo gli occhi, nega l'esistenza del femminicidio in quanto piaga sociale, con le parole usate dalla Special Rapporteur dell’ONU Rashida Manjoo nel suo discorso per il panel della società civile: “Il femmicidio è l’estrema conseguenza delle forme di violenza esistenti contro le donne. Queste morti non sono isolati incidenti che arrivano in maniera inaspettata e immediata, ma sono l’ultimo efferato atto di violenza che pone fine ad una serie di violenze continuative nel tempo.”


L’ONU AI DELEGATI DI TUTTI I GOVERNI DEL MONDO: È ORA DI AGIRE CONTRO IL FEMMINICIDIO

(di Barbara Spinelli)
Al Consiglio dei Diritti Umani è stato presentato il primo Rapporto tematico mondiale sugli omicidi basati sul genere

E’ del 2002 la notizia che la violenza maschile sulle donne costituisce la prima causa di morte al mondo per le donne tra i 16 ed i 44 anni. Da allora, troppo poco è stato fatto dagli Stati a livello nazionale per contrastare gli omicidi di donne basati sul genere, e quella violenza in famiglia che troppo spesso (nel 70%  dei casi) li precede. Le Nazioni Unite tuttavia non sono rimaste insensibili a questa macroviolazione dei diritti umani. Già il Comitato per l’attuazione della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne aveva chiesto a vari Stati, tra cui al Messico ed all’Italia (unico Paese europeo, nel 2011), di adottare misure specifiche per il contrasto al femminicidio, evidenziando come l’aumento dei casi potesse evidenziare un fallimento delle Autorità nel proteggere le donne dalla violenza, soprattutto domestica. Ma il 25 giugno 2012 è stato un giorno epocale per la lotta alla violenza maschile sulle donne: per la prima volta, ai delegati di tutti i Paesi del Mondo, riuniti a Ginevra, nel Palazzo delle Nazioni Unite, al Consiglio dei Diritti Umani, è stato sottoposto un Rapporto tematico sugli omicidi basati sul genere, elaborato dalla Relatrice Speciale dell’ONU contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo.
Il Rapporto tematico sugli omicidi basati sul genere

Il Rapporto tematico sugli omicidi basati sul genere, elaborato dalla Relatrice Speciale dell’ONU contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, è frutto di numerose consultazioni. In particolare, è stato preceduto nell’ottobre 2011 da un seminario convocato a New York dalla Relatrice Speciale, che ha coinvolto 25 esperti provenienti da diverse aree geografiche, appartenenti al mondo universitario, alle organizzazioni della società civile, ad agenzie delle Nazioni Unite, tutti con comprovate competenze tecniche e professionali in materia di femminicidio. A quell’incontro, nel quale io sono stata invitata in qualità di esperta per l’area europea, si è fatto il punto della situazione sul riconoscimento dei concetti di femmicidio e femminicidio a livello teorico. Ogni esperto ha esplorato le differenti manifestazioni del femminicidio nelle varie aree geografiche, e la risposta delle Istituzioni, con particolare riguardo alle buone pratiche instaurate per garantire una effettiva protezione delle donne dalla rivittimizzazione. Al termine, è stata analizzata la giurisprudenza rilevante a livello regionale e internazionale. La Relatrice Speciale, nel suo rapporto tematico non ha usato mezzi termini nell’affermare che “a livello mondiale, la diffusione degli omicidi basati sul genere, nelle loro diverse manifestazioni, ha assunto proporzioni allarmanti” e che “culturalmente e socialmente radicati, continuano ad essere accettati, tollerati e giustificati, e l’impunità costituisce la norma”. Il diverso significato dei concetti di femmicidio e femminicidio viene ricostruito meticolosamente, riconoscendo che questi termini sono diventati di uso comune grazie alle lotte del movimento femminista, “come alternativa alla natura neutra del termine omicidio, che trascura la realtà di disuguaglianza, oppressione e violenza sistematica nei confronti delle donne”, e per creare una vera e propria “resistenza” a questa forma di violenza letale. Rashida Manjoo non manca di notare una certa ipocrisia in chi continua a definire gli omicidi basati sul genere “delitti passionali” in Occidente, come atto di un singolo individuo, e “delitti d’onore” a Oriente, quale esito di pratiche religiose o culturali. Questa dicotomia, spiega la Relatrice richiamando l’ottima criminologa Nadera Shaloub Kevorkian, esprime una visione concettuale semplicistica, discriminatoria e spesso stereotipata, che oscura l’intersezionalità dei fattori politici, economici, sociali, culturali, e di genere che riguardano tutte le donne del mondo”. Gli omicidi basati sul genere nel Mondo si manifestano in forme anche diverse tra loro. Qualsiasi sia la forma in cui si manifestino, viene chiarito in via definitiva che “Non si tratta di incidenti isolati che accadono all’improvviso, inaspettati, ma rappresentano piuttosto l’ultimo atto si un continuum di violenza”.  Ed infatti, la forma di femminicidio che accomuna tutte le donne del mondo è proprio l’uccisione a seguito di pregressa violenza subita nell’ambito della relazione d’intimità. Altre forme di femminicidio sono quelle legate alle accuse di stregoneria o di magia, diffuse in alcuni Paesi dell’Africa, dell’Asia e delle isole del Pacifico; gli omicidi di donne commessi in nome “dell’onore”; i ginocidi perpetrati nell’ambito dei conflitti armati; le uccisioni di donne a causa della dote, assai diffusi in alcuni Paesi dell’Asia meridionale; gli omicidi di donne indigene e aborigene; le forme estreme di accanimento sui corpi delle donne in cui sono coinvolte la criminalità organizzata e le organizzazioni paramilitari; le uccisioni a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere (che sono in continuo aumento, tanto che il Consiglio dei Diritti Umani ha adottato una risoluzione rivoluzionaria sulle violazioni dei diritti umani basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, la n. 17/19); e le altre forme di uccisioni correlate al genere, come la pratica del sati (le vedove indiane bruciate vive sulla pira funeraria del marito)  o l’aborto dei feti e l’uccisione delle bambine in quanto donne. Un aspetto significativo di questo Rapporto tematico è la condanna dei media che spesso, nel riportare delle  uccisioni di donne, “hanno perpetuato stereotipi e pregiudizi”, ma che tuttavia, in mancanza di una raccolta dati ufficiali, riportando informazioni sulla relazione autore/vittima e su eventuali pregresse violenze, spesso “hanno aiutato le associazioni di donne a a distinguere i femminicidi dagli altri omicidi di donne”. La Relatrice Speciale ha individuato, tra le sfide principali per prevenire e contrastare il femminicidio: la difficoltà di una trasformazione sociale profonda in generale, le difficoltà nell’accesso alla giustizia, l’assenza o insufficienza di un discorso basato sui diritti umani nell’approccio agli omicidi di donne; la cecità delle disuguaglianze strutturali e la complessa intersezione tra le relazioni di potere nella sfera pubblica e privata, che rimane la causa più profonda delle discriminazioni sessuali e basate sul genere.
Le raccomandazioni

La Relatrice speciale invita gli Stati a utilizzare categorie adeguate per la classificazione degli omicidi di donne, che tengano conto della dimensione di genere, e di adottare gli indicatori ONU per la raccolta disaggregata dei dati. Sottolinea l’importanza di una corretta informazione sul tema da parte dei media, di un’adeguata valutazione del rischio, della previsione di strumenti di tutela civili e penali, e dell’importanza di poter disporre di servizi sociali e di case rifugio in numero adeguato. Evidenzia come, nei casi di crisi o debolezza delle Istituzioni, l’impunità dovuta alla corruzione e alla rinuncia da parte dello Stato a offrire tutela giurisdizionale renda possibili e favorisca gravissime violazioni dei diritti fondamentali delle donne. Suggerisce  che un Protocollo di azione, rivolto alla magistratura, alle forze dell’ordine e ai politici, potrebbe essere utile a definire linee guida basate su standard internazionali per la prevenzione e le indagini sui femminicidi, e potrebbe rendere più facile far valere la responsabilità internazionale degli Stati per la loro violazione. L’eliminazione della violenza sulle donne è basata sul rispetto degli standards internazionali nella previsione legale di misure di protezione, nell’adozione di politiche  adeguate, e nella promozione di una cultura del rispetto e non discriminatoria. In sostanza,  l’unica soluzione sta in un approccio olistico alle cause strutturali di discriminazione, oppressione e marginalizzazione delle donne, che preveda azioni sul piano politico, operativo, giuridico e amministrativo.
La reazione degli Stati alla presentazione del Rapporto tematico sul femminicidio

La maggior parte delle delegazioni governative presenti ha accolto con ampio favore il Rapporto Tematico, ringraziando la Relatrice Speciale ed impegnandosi a perseguire a livello nazionale ed internazionale gli obbiettivi indicati. Le uniche note critiche sono venute dall’Algeria, che ha affermato che il suo codice penale punisce qualsiasi persona responsabile di violenza nei confronti di un’altra persona, aldilà del genere, e che quindi era necessario che il rapporto non avesse incluso aspetti controversi non riconosciuti dal diritto internazionale, e dall’Egitto che, analogamente, si è espresso in totale disaccordo con il legame individuato nel Rapporto  tra discriminazione nei confronti di donne e bambine e gli omicidi e che ha “rigettato categoricamente”  il tentativo compiuto dalla Relatrice Speciale di introdurre nozioni estranee al quadro internazionale dei diritti umani e delle obbligazioni degli Stati, come le nozioni di orientamento sessuale e identità di genere.
Il ruolo della società civile: la storia siamo noi

La Piattaforma CEDAW è stata presente a Ginevra, ed ha attivamente preso parte ai lavori. Sono state presentate tre dichiarazioni scritte e gli interventi orali si sono alternati sia nell’ambito del dialogo interattivo (Giuristi Democratici e centro antiviolenza di Parma) sia nell’ambito del dibattito generale (Pangea e D.i.re). Inoltre, abbiamo organizzato un evento parallelo per approfondire il dibattito, con un panel di relatori nazionali ed internazionali. La Relatrice Speciale nel Rapporto tematico ha affermato che “la formulazione di istanze basate sul riconoscimento dei propri diritti fondamentali da parte delle donne, resta un’importante strumento strategico e politico per l’empowerment delle donne e per fronteggiare le violazioni dei diritti umani”. E’ così. Ce lo dimostrano i risultati ottenuti nel contrasto al femminicidio dalle donne messicane, ma ce lo dimostra anche la nostra storia. C’è una parte di società in Italia che ha modo di vedere con i suoi occhi quanto fa male la violenza maschile sulle donne: non fa male solo alla donna che viene picchiata o umiliata ogni giorno nell’inferno di casa sua, ma fa male anche all’azienda in cui lavora, per i giorni di malattia che si prende e la perdita di produttività, e fa male al sistema sanitario, e alla democrazia in generale. C’è una parte di società, uomini e donne, che ha voglia di raccontare l’entusiasmo di lavorare in rete per contrastare la violenza nelle relazioni di intimità, e le frustrazioni legate alla mancanza di fondi per farlo: dai soldi che mancano per la benzina delle volanti, alle case rifugio che chiudono per il mancato rinnovo delle convenzioni con gli enti locali. C’è una parte di società che ha documentato tutto questo, che ha fornito il proprio contributo all’elaborazione del “Rapporto ombra” sull’implementazione della CEDAW in Italia. Tante esperte ed esperti, tanti operatori e operatrici, tanti collettivi femministi e associazioni, tante donne sopravvissute alla violenza o alla discriminazione, hanno raccontato il loro pezzo di storia, il loro pezzo di resistenza quotidiana, fornito i dati raccolti, evidenziato le conseguenze sulle loro vite, o sulle vite delle persone che assistevano, di leggi sbagliate, ingiuste, e politiche incuranti degli effetti devastanti prodotti sulle vite delle donne. Hanno  riferito delle battaglie portate avanti per cercare un dialogo con le Istituzioni a tutela di quei diritti, e di come non sempre fossero riusciti ad ottenerlo. Tutto questo materiale, raccolto e rielaborato dal gruppo di lavoro della Piattaforma CEDAW, è stato da me tradotto nel linguaggio dei diritti: ovvero, nel “Rapporto Ombra” abbiamo identificato  le violazioni dei diritti umani delle donne in Italia, diritto per diritto, dal diritto all’istruzione, al diritto alla salute, al lavoro, e così via, fino al diritto a una vita libera dalla violenza. E, identificate tutte le violazioni, le abbiamo sottoposte all’ONU, al Comitato per l’implementazione della CEDAW. Il Comitato CEDAW, ricevute anche le corpose documentazioni ufficiali dal Governo italiano, e a seguito di un dialogo costruttivo da tra esperti del Comitato CEDAW ed esperti dei vari Ministeri,  ha ritenuto che la maggior parte delle violazioni da noi identificate fossero effettivamente tali, ed ha indirizzato all’Italia una serie di raccomandazioni molto severe, identificando come problemi principali la lotta agli stereotipi e alla violenza sulle donne. Su questi temi, il Governo italiano è chiamato a riferire nel 2013. Ma come Piattaforma CEDAW, ed in particolare Giuristi Democratici e la rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.re, nel periodo in cui preparavamo il Rapporto Ombra, abbiamo anche invitato in Italia la Relatrice Speciale dell’ONU contro la violenza sulle donne, per proporre tre giorni di incontri e seminari sugli strumenti internazionali di tutela dei diritti delle donne. In quei giorni la Relatrice Speciale ebbe modo di conoscere dalla società civile le cause e le conseguenze della violenza sulle donne in Italia. Successivamente, decise di chiedere al Governo italiano la possibilità di venire in Italia in visita ufficiale, possibilità che fu prontamente accordata. La Missione, avvenuta dal 15 al 26 gennaio 2012, ha permesso alla Relatrice di poter ottenere informazioni dirette dalle Istituzioni, attraverso incontri con esperti dei vari Ministeri, esponenti della Magistratura e altri organismi, che l’hanno ricevuta ufficialmente ed hanno dialogato con Lei, rispondendo alle sue domande e offrendole informazioni rilevanti. Il Governo le ha anche concesso la possibilità di visitare carceri e C.I.E., e di parlare con donne detenute e trattenute, in privato. Inoltre, ci sono stati gli incontri  con la società civile: dalle operatrici dei centri antiviolenza, alle mediatrici culturali, a medici, avvocate, psicologhe, accademiche, associazioni filogovernative e organizzazioni non governative, collettivi, e poi vittime di violenza o di discriminazioni. Si è creata una rete di contatti e relazioni per documentare attraverso resoconti documentati, dati, ricerche e storie di vita vissuta una realtà che le Istituzioni si ostinano a non voler vedere, quella del percorso a ostacoli che devono affrontare le donne che vogliono uscire da una situazione di violenza e gli operatori che le assistono. La Relatrice Speciale dell’ONU contro la violenza sulle donne,  In contemporanea al Rapporto tematico sul femminicidio, davanti al Consiglio dei Diritti umani dell’ONU a presentato anche il Rapporto sulla Missione in Italia, che contiene delle Raccomandazioni specifiche rivolte alle Istituzioni italiane su quali azioni è necessario porre in essere per il futuro per il contrasto alla violenza maschile sulle donne e la prevenzione del femminicidio. E’ evidente che il protagonismo della Piattaforma CEDAW e della rete nazionale dei centri antiviolenza (DIRE), nonché di tutte quelle realtà femminili e femministe che vi orbitano intorno e che hanno apportato dati fondamentali all’elaborazione delle istanze promosse davanti all’ONU (si pensi al prezioso lavoro di Femminismo ASud sulla PAS o dell’ASGI sulla condizione delle donne migranti e le problematiche relative alle azioni antidiscriminatorie, ma l’elenco sarebbe davvero troppo lungo) ha reso possibile la definizione da parte delle Nazioni Unite di indicazioni ben precise circa le politiche e le modifiche legislative che devono essere poste in essere per garantire, in concreto, miglioramenti per le donne italiane nell’accesso e nel godimento dei loro diritti fondamentali. Più che mere indicazioni, si tratta di vere e proprie obbligazioni internazionali che il Governo italiano è chiamato ad adempiere, e della cui violazione può essere chiamato a rispondere. Spetta a tutte/i noi, ora, fare si che queste raccomandazioni vengano rispettate e che venga data attuazione alle misure richieste. Credo che il protagonismo di tutte/i coloro, singole e associazioni, che hanno partecipato sia al percorso che ha portato alla presentazione del Rapporto Ombra CEDAW  sia alle consultazioni con la Relatrice Speciale nel corso della sua visita ufficiale, vada riconosciuto e ringraziato, unitamente alla sensibilità di quei media che hanno dato visibilità alle raccomandazioni, output di questo percorso. E’ stato solo grazie a questa rete informale che questi risultati sono stati possibili, ed è un meraviglioso esempio di partecipazione politica  e di protagonismo civile per la trasformazione sociale. “Be the change you wish to see in the world”, diceva Ghandi. Il merito mio e della Piattaforma CEDAW è stato solo quello di avere fatto da regia e da cassa di risonanza delle rivendicazioni provenienti dalla società civile, e di averle portate all’attenzione delle Nazioni Unite nella forma e con le modalità adeguate. Ora si tratta di andare avanti, in un processo che da un lato deve tendere alla responsabilizzazione istituzionale su queste tematiche, e dall’altro al progressivo superamento dei personalismi e delle strategie di etichettamento che fino ad oggi hanno ostacolato l’efficacia dell’azione dei gruppi femminili, andando invece verso l’identificazione ed il perseguimento di obbiettivi comuni che vedano uniti tutti e tutte per la rivendicazione di misure adeguate per la prevenzione e protezione delle bambine, donne, lesbiche, trans, queer ed intersessuali dalla violenza basata sul genere e sull’orientamento sessuale.

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