lunedì 6 marzo 2017

Cinque esempi di violenza simbolica

Mariana Olisa

La violenza simbolica è un termine coniato da Pierre Bourdieu negli anni ‘70 ed è usato per descrivere una relazione sociale, dove il “dominatore” esercita una violenza indiretta e non fisicamente diretta contro i “dominati”, i quali non la rilevano e/o sono inconsapevoli di dette pratiche contro di loro e, quindi, sono “complici del dominio al quale sono sottoposti” (Bourdieu, 1994).



Questa violenza è stata interiorizzata e naturalizzata fino al punto in cui crediamo che le cose “sono sempre state così” e, di conseguenza, i nostri valori e luoghi nella società saranno non soltanto indiscussi ma anche immutabili.
Nei media, è violenza simbolica tutto ciò che rafforza gli stereotipi, perché mettono ciascuno “ al suo posto”:  tutto ciò che è motivo di stigmatizzazione, è responsabile del pensiero segregazionista, tutti i segregati sono “diversi da me” e visti meno come persone nell’inconscio. Quanto meno si è persone meno diritti si hanno e si è più esposti agli abusi in tutte le aree.

Esponiamo alcuni esempi come esercizio di riflessione:
1) Insegnando alle donne a stare in una posizione di subalternità e/o violenza

Non è sufficiente che una percentuale così significativa dei film non superi il test del sessismo, l’ultima è stata una campagna di diffusione sui cartelloni pubblicitari, del nuovo film di X-Men: Apocalypse.  Il manifesto divulgato nel giugno del 2016 a Los Angeles e New York è circolato sulle reti e ha ricevuto diverse critiche femministe perché promuoveva la violenza sulle donne.
La campagna è stata accusata di essere fuori dal contesto nel mostrare Mistica strangolata dal suo antagonista Apocalisse. La frase della locandina recita: “ Solo i forti sopravvivranno."
La 20th Century Fox responsabile del film è stata costretta a chiedere scusa. Ha ritirato la scena del film in cui Mistica era strangolata e ha giustificato il manifesto affermando che: “Nel nostro entusiasmo nel rilevare la villania di Apocalisse, non abbiamo rilevato immediatamente la connotazione inquietante dell'immagine sul modulo stampato". Notate che l’accento è su Apocalisse, nulla è stato detto a proposito di Mistica.




2) Dicendo alle donne che i loro corpi non sono abbastanza belli e hanno bisogno di essere modellati / camuffati.

Reggiseno  push-up che suggerisce che i nostri seni devono essere a prova di gravità. Creme antirughe e tinture per capelli che ci dicono che l'età è qualcosa che deve essere nascosta a tutti i costi. Tacchi alti affinché possiamo apparire sempre più affusolate ed eleganti. Trucchi che cancellano imperfezioni e cambiano le dimensioni degli occhi affinando le nostre caratteristiche.
La “prova bikini” che non significa altro che una donna che non sia perfetta non può mostrare il suo corpo con orgoglio.
La grande novità in questo campo sono i dilatatori di labbra per suzione. Queste ventose si trovano in commercio da molti anni ma hanno raggiunto popolarità quest’anno, grazie a una sfida lanciata sulle reti sociali.




3) Limitando la mobilità delle donne
Un altro modo per rendere le donne prigionieri dei loro corpi (e della propria condizione di donna) è limitando i suoi movimenti. Il burqa è l’esempio più semplice, mentre l’abbigliamento occidentale è creato e serve per migliorare la nostra figura, a identificare chi siamo dentro la nostra società più che a vestirci.
Così si parla di nuovi tacchi, di vestiti stretti , di gonne sproporzionate che si mettono alle bambine dicendo “ Questo fa al caso, chiudi le gambe, comportati da bambina”. Le mutande fatte di materiale povero e monouso , che insieme con i pantaloni stretti, contribuiscono alla cattiva salute vaginale, perché non sono stati progettati per il nostro benessere, ma per essere desiderabili per gli uomini.
Un altro modo per limitare la mobilità delle donne è determinare quali siti devono occupare e "suggerendo loro" a quali appartenere e come dice Irantzu Varela, "noi vogliamo la metà di tutto. Ogni volta che non siamo la metà, ci si dovrebbe chiedere perché ".
La donna ha anche una mobilità ristretta quando le è chiesto se viaggerà da sola, quando le giovani sono avvertite su ciò che devono fare e non fare, per non “guadagnarsi” una brutta fama, quando con la denuncia di uno stupro, di domanda alla vittima com’era vestita e tanti altri esempi.

4) Per un linguaggio tradizionalmente sessista e razzista.
Parlando di imprecazioni, vi invito a pensare come la parola "fica" ha il suo significato degenerato, quando è utilizzata come espressione di insoddisfazione quotidiana e quanto esprima una violenza simbolica verso le donne, naturalizzando la “fica” come una cosa volgare, banale e sprezzante .
Le battute che utilizzano gli stereotipi come stampella per far ridere le persone, senza considerare che questi scherzi siano ancorati a certi valori e pregiudizi consolidati nella società, sono così sgradevoli come le espressioni “ mora”, “sudaca”* “negra”, “ lavorare come un negro” “ lavorare come un cinese” “ fai lo zingaro”,”felice come un nano”, ecc., che, anche se non non è nell'intenzione di chi li usa, esprime ugualmente, un discorso ideologico. Prendere coscienza di ciò che viene detto è anche empowerment.

5) Per la manipolazione della storia e la invisibilità delle minoranze.
La egemonia patriarcale bianca ha sempre bisogno di riaffermarsi. La nostra società si sostiene , così come la conosciamo, nel disegnare l’uomo bianco come il grande pioniere, così come i suoi elementi biologici, culturali e morali, giustificando in tal modo non solo la sua posizione e privilegi, ma anche il dominio sociale e politico.
Classici esempi sarebbero la rappresentazione di un Gesù biondo con gli occhi azzurri e anche la rappresentazione cinematografica degli Egiziani come una cultura bianca in mezzo al deserto africano. Nel significato ideologico proprio di ciò che è la civiltà e di quello che abbiamo capito come selvaggio, dove è implicito proprio chi sono i "buoni" e che i "cattivi".




Così, il patriarcato bianco determina ciò che è auspicabile in una catena di valori e tutte le altre persone al di fuori di esso, diventano un po’'meno persone, perché ricreate attraverso gli occhi di quello, che assumono ruoli e posizioni sociali che il patriarcato concede.
Non essere consapevoli che si vive in una società che agisce con un sistema di privilegi permette loro di continuare ad esistere, perché i privilegi sono sempre ottenuti a scapito dei diritti di qualcuno.

* termine dispregiativo per definire le persone dell'America Latina

(traduzione di Lia Di Peri)


Afrofeminas

mercoledì 1 marzo 2017

Esotizzazione delle donne nere




Una settimana fa la mia cara Li Kaczynski mi inviava questo messaggio su WhatsApp:

Zia, un nuovo annuncio di Desigual: “Exotic Jeans”, quattro ragazze nere in jeans ".

Le ho risposto “Dopo lo guardo”, perché avevo un paio di fronti aperti in casa (cose di madri) e, dopo, l’ho dimenticato.


Sabato pomeriggio, eravamo insieme io e Li e, improvvisamente, appare l’annuncio "Exotic Jeans"  di Desigual.
L'annuncio è interpretato da Nia Lyons, Nia Parker e Camryn Huthinson, ballerine di Hiplet, una forma che coniuga ip hop e danza classica,conosciuto questa estate, diventato virale.
Non dirò assolutamente nulla contro l'esecuzione della danza, che è meravigliosa né sulla canzone che, a quanto pare sta incantando tutti. No, la critica è diretta a Desigual. Non ho  neanche intenzione di commentare il fatto che si tratti di donne con corpi potremmo dire, molto più reali di quelli che siamo abituati a vedere nel mondo della moda. Questo è fantastico. E per fortuna che ci sono marchi dove si mostrano corpi diversi.
La domanda, però, che mi frulla in testa è:  che cosa abbiano di esotico alcuni pantaloni?
Secondo il sito web di Desigual, "#Hiplet nasce dalla mescolanza e dalla libertà.  Anche i nuovi esotici jeans. E questo slogan mi appare abbastanza disgustoso. Perché, tanto per cominciare, Hiplet nasce dalla mescolanza di  Hip hop e danza classica. Né più né meno.
Cioè, la prima domanda sarebbe, perché definiscono come libero, un ballo creato e praticato da donne nere? Inoltre, perché la gente bianca cambia la definizione di Hiplet, scegliendo di chiamarlo “mescolanza e libertà”? La libertà di chi? Secondo chi? E, infatti, perché scelgono tre ballerine nere per annunciare alcuni jeans definiti  esotici?
Detesto la erotizzazione delle donne nere, come ho già detto in un articolo mesi fa. E mi disgusta che qualsiasi marchio usi le donne nere per promuovere un articolo definito come esotico.
Che bisogno c'è, a questo punto, di vendere qualsiasi articolo definendolo esotico? Che necessità c’è - una volta presa la decisione di battezzarlo come esotico, di legarlo alla immagine delle donne nere?
Sono esotici questi jeans , perché stanno meglio alle donne nere, poiché hanno il culo più grande? E’ questa l’idea? E’ questo il messaggio che vogliono diffondere , perpetuando così tutti quei pregiudizi che gran parte della società ha nei confronti delle donne nere? O forse sono esotici solo perché li indossano le donne nere? Dovremmo forse dedurre che tutti i vestiti che indossa una donna nera siano esotici?
Se dopo il meraviglioso annuncio, con quelle belle donne che ballano così bene, la messa a fuoco fosse stata "così flessibile e così comodo che puoi indossarli  anche per ballare danza, hip hop, hiplet, ecc ...", il risultato sarebbe stato magistrale.
Mi sembra cosa lodevole che Disegual pubblichi un annuncio in cui appaiono tre donne nere professioniste, visto che  il livello di rappresentanza che abbiamo, come ho già detto, è scarso.

Non mi piace  che Desigual, un’azienda creata da un uomo bianco e ricco, parli dalla sua posizione privilegiata, volendo apportare libertà a una danza  creata da persone nere. Questa danza è ciò che i suoi creatori decidono che sia, non ciò che Desigual  afferma.


E mi piace ancora meno questo permanente rapporto delle donne nere con l’esotismo. 


(traduzione di Lia Di Peri)

venerdì 24 febbraio 2017

Mercato di uteri.

I corpi delle donne non possono diventare oggetto di compravendita.

Beatriz Gimeno*




L’unico argomento dei sostenitori degli uteri in affitto è la libertà individuale. Parlano anche di un presunto diritto a essere padre/madre ma tutti saranno d’accordo che tale diritto non esiste se si oppone ai diritti degli altri. Non vi è alcun diritto di utilizzare una donna affinché qualcuno soddisfi quello che è un desiderio, legittimo, comprensibile ma, sempre, un desiderio. Comprare una gravidanza, un organo, sangue, ovuli, cornee ... non è un diritto di nessuno. Trasformare i desideri in diritti è ciò che fa il neoliberismo, attraverso il denaro, ovviamente.
Non abbiamo ottenuto quelli che sono i diritti reali (abitazione, lavoro, sanità, ecc.) mentre avanziamo velocemente verso il consolidamento dello unico diritto che riconosce il capitalismo: il diritto a consumare.
I diritti che esistono solo mediante un prezzo (c’è una domanda per comprare, però, non c’è la domanda di vendere) sono, in realtà, privilegi. Ogni volta che qualcuno rivendica il diritto di acquistare, in un mondo di disuguaglianza brutale come questo, quello che si sta facendo è esigere che qualcuno venda la stessa cosa che si desidera. Ogni volta che si apre la strada al mercato, ciò che si fa è obbligare i poveri a entrare in esso e vendere quello che nessuno venderebbe se non fosse nella situazione di dover fare così. E gli uni e gli atri mai si troveranno in condizioni simili o intercambiabili. Se apriamo, quindi, il mercato degli organi, i ricchi li compreranno e i poveri saranno obbligati a venderli.
Le donne che gestano per le altre, non potranno domani (nel caso rimanessero sterili, per esempio), pagare per un figlio, nello stesso modo in cui mai vedremmo una ricca gestare per un’altra, mediante il denaro. Semplicemente nessuno lo fa se non ha l’estrema necessità di farlo. Dove si riconosce il diritto dei ricchi a comprare si stanno obbligando i poveri a vendere.
Il dibattito, quindi, non riguarda la libertà delle donne di gestare per altri ma,se come società, scegliamo di mettere le donne più povere in quella situazione o togliamo il problema alla radice.
Una gravidanza non è una tecnica riproduttiva e la sola denominazione offende. Se la gravidanza surrogata è una tecnica, allora, tutta la gravidanza lo è e noi siamo delle incubatrici.
Il modo in cui l’embrione si impianta nello utero, non ha nulla a che fare con la gravidanza. 
O,tutte le gravidanze, hanno una natura tecnica o tutte le gravidanze sono processi vitali in cui le donne mettono il loro corpo, ma molto di più rispetto al corpo. Lo sforzo, i rischi, la salute, le sensazioni, l’insonnia, il senso di pesantezza, i cambiamenti ormonali, fisici e psicologici; non vi è alcuna differenza tra una gravidanza con embrione proprio o estraneo. Il corpo si pone allo stesso modo, la soggettività è interpellata allo stesso modo. Chiamare una gravidanza per soldi, ”tecnica” cerca solo di spazzare via la gestante, renderla invisibile, oggettivarla. Per questa ragione una donna incinta ha sempre gli stessi diritti, sia arrivata come sia arrivata a quella gravidanza.
Sono diritti ai quali non si può rinunciare per prezzo, per contratto: sono diritti inalienabili.
Infine, è possibile donare in modo altruista la gravidanza? Penso di sì, come nello stesso modo si può donare un rene a un parente, però, chi difende questa pratica, non si riferisce a questo e parlano sempre di “compensare le spese”. Se è altruismo, non ci saranno spese da compensare.  In ogni caso, devono essere salvaguardati i diritti della gestante in tutto il processo. Il diritto di abortire prima, durante e dopo e il diritto di ripensarci. Credo che questa donazione dovrebbe essere limitata a famigliari di primo o secondo grado, in modo che, la gestante, non scompaia dalla vita del bambino e sia parte del suo mondo affettivo.
Così la disciplina, la legge brasiliana, ad esempio.
E’ sospetta la facilità con la quale molte persone che conoscono perfettamente i rapporti tra mercato, disuguaglianza e libertà individuale, assumono senza problemi che i corpi delle donne possano essere oggetto di compravendita. E lo fanno brandendo la libertà individuale.
Credo che abbia a che vedere con ciò che noi donne portiamo sul mercato (simbolico e materiale) sin dal primo istante del patriarcato e il capitalismo.

Beatriz Gimeno, femminista, lesbica, deputata di Podemos
traduzione di Lia Di Peri


El Pais

mercoledì 22 febbraio 2017

Non può esserci femminismo laddove c'è esclusione.



Emozionante articolo sulle drammatiche realtà delle lavoratrici di cura che, nonostante le (fallimentari) leggi vigenti, rileva la delegittimazione sociale.e l'assenza di interesse di un certo femminismo.
" Se il femminismo non è anti-capitalista impoverisce e se impoverisce è un femminismo per ricche". Beatriz Gimeno.

La legge della Dipendenza: l’esempio più crudele del femminismo per ricche.

Raúl Solís Galván
La cordovana Manoli Gutiérrez, 58 anni, si alza ogni mattina per adempiere una giornata lavorativa di cinque ore, per un salario di 540 euro il mese, che non la tira fuori dalle statistiche della povertà. Dalle 9 alle 10 del mattino va in una casa ad accudire a un anziano. Lo alza dal letto, lo pulisce, lo prepara, gli dà la colazione e gli somministra la dose quotidiana di medicine. Una volta che l’anziano è servito, Manoli, lascia preparata ogni cosa per dopo, quando ritorna a mezzogiorno, in modo da non perdere molto tempo per preparargli il pranzo.
Tutto ciò in un'ora, anche se Manoli sta tra i 15 e i 20 minuti in più in quella casa, perché altrimenti il nonno rimarrebbe incustodito.
E lei, soprattutto, sente molto affetto per i suoi assistiti. Alle 10,20 Manoli lascia correndo la prima casa, per andare in un’altra, che è più distante e che deve raggiungere in dieci minuti: non arriva in tempo neppure volando.
Pregando perché i semafori siano sempre verdi, arriva con la lingua di fuori, sudando e pensando che sarà rimproverata per il ritardo. Una volta entrata, Manoli ricomincia a pieno ritmo l'attività: pulire la casa, dal bagno al salotto, prepara il cibo e pulisce l’anziana, una signora in una sedia a rotelle considerata estremamente dipendente.
Sono già le 12,50 e Manoli guarda l’orologio. In pochi minuti deve ritornare a casa dal primo assistito al quale ha già lasciato tutto pronto. Adesso deve solo finire di cucinare e aiutarlo a mangiare, data la sua limitata autonomia.
Sono le 14,00 di un giorno qualsiasi di Manoli.
Ha già terminato le ore della mattina ma nel pomeriggio deve tornare alle 18,00 per un’altra ora e tornare a fare la stessa attività del mattino. Un intero giorno di 5 ore, per guadagnare 540 euro il mese, 4,90 euro l’ora e per essere utente dei Servizi Sociali con un posto di lavoro.
Manoli è divorziata, frutto di una relazione di terrore di violenza machista che l’ha schiacciata per trenta anni. Soffre di fibromialgia una malattia invalidante molto legata agli stati depressivi e che le fa dolere tutto il corpo. Non può però mancare a lavoro, perché sa che sarebbe immediatamente licenziata dalla impresa e cadrebbe così nelle grinfie della esclusione più assoluta.
Con i 540 euro che guadagna, non può pagare un affitto di casa. Alla sua età è dovuta tornare a vivere con la madre dopo essere fuggita dagli artigli della violenza di genere. Paradossalmente è stata sanzionata da un mese senza lavoro né stipendio per aver denunciato ai Servizi Sociali di Cordova, che un assistito si masturbava davanti a lei, secondo un rappresentante sindacale di Cadice.
E 'stata rimproverata perché il contratto che regola l'assistenza domiciliare tra il Comune di Cordova e CLECE, l'azienda di Florentino Pérez, contiene una clausola che fa divieto alle lavoratrici di aver alcun tipo di contatto con l'istituzione comunale, che riceve dalla Giunta Andalusa 13 euro per ogni ora di assistenza domiciliare, dei quali meno di 5 vanno a Manoli, mentre 8 euro a Florentino Pérez. Un business perfetto.
O quello che è lo stesso, nel caso della gestione privatizzata, il 60% del denaro pubblico che, il governo andaluso, destina alla dipendenza va alle imprese come quella del miliardario Florentino Pérez, mentre le donne che forniscono il servizio soffrono ansia, stress e condizioni di lavoro di semi-schiavitù. Questo conteggio esce dai 13 euro che l’Amministrazione regionale dà al servizio e i 4,90 euro che dicono di ricevere le lavoratrici.
A Cadice svolge il suo lavoro, Rosario, una donna che è stata minacciata con un’arma da un assistito. O, anche Maria, che mentre cucinava è stata minacciata con un coltello da un paziente affetto da schizofrenia che gridava di volerla uccidere. Entrambe hanno denunciato i fatti alla azienda, che sta guadagnando grazie alla legge della dipendenza, ma che nulla hanno fatto per dare sicurezza sul lavoro a queste due lavoratrici.
In Almodóvar del Río (Cordova) vive Juana, una donna che, insieme al resto delle sue compagne, riesce raramente a coprire le spese del mese. Negli ultimi quattro mesi non c’è riuscita: non ha potuto comprare il materiale scolastico per i figli, le hanno tagliato la luce, l’acqua, i figli hanno potuto magiare grazie alla sua famiglia e ai vicini di casa e la banca la chiamava ogni giorno per domandarle cosa stava succedendo con il mutuo. Juana guadagna un salario dignitoso e ha giornate lavorative decenti, poiché il servizio in questa città è a gestione pubblica, ma comunque il problema è che la Giunta andalusa, non considera una priorità fare trasferimenti di denaro in modo regolare, affinché queste donne possano lavorare senza pensare che lasciando dovranno chiedere gli alimenti alla Caritas.
Sono solo quattro nomi di donne che si dedicano a compiere una legge approvata 10 anni fa da Jose Luis Rodriguez Zapatero e che in questi giorni lo PSOE di Susana Diaz vuole vendere come un trionfo delle loro politiche a favore delle donne, che sono state e sono le grandi curatrici delle persone non autonome in Spagna.
Tuttavia, questo discorso falsamente a favore delle donne dimentica che la Legge della Dipendenza è ricaduta nuovamente sulle donne, soprattutto, le più povere, che sono quelle che la svolgono.
Donne vittime di violenza di genere, madri che curano i loro figli da sole, donne che portano in casa gli unici soldi, dopo il licenziamento del partner, donne senza formazione e quindi senza possibilità di ottenere un lavoro migliore. Donne che diventano carne da cannone per lo sfruttamento a cui sono sottoposti molti lavori di cura.
C’è la falsa credenza che il femminismo non deve avere classe sociale. Da qui, la convinzione che una donna ricca ha gli stessi bisogni di Manoli, che si alza ogni giorno con la fibromialgia per guadagnare 540 euro, per curare le persone dipendenti. La legge sulla Dipendenza è la prova vivente che il femminismo deve avere una prospettiva di classe e che quando si legifera in nome del femminismo, dimenticando le donne povere, privatizzando servizi per arricchire le grandi multinazionali, si rende più profonda la disuguaglianza di genere e le condizioni di sfruttamento che le donne subiscono nei luoghi di lavoro.
(...) Imprese come quella di Florentino Pérez, trovano in questo femminismo per ricche il loro migliore alleato, per continuare a sfruttare le donne e aumentare il loro tasso di infame profitto, ora, sotto un falso slogan di liberazione delle donne (ad eccezione di quelle povere) dalla cura delle persone dipendenti.
Se impoverisce non è femminismo. E se impoverisci, non sei femminista.
(traduzione di Anita Silviano)
Stupenda e lucida analisi sulla crudeltà del patriarcato.

Come ci vuole il Patriarcato?



Il Patriarcato ci immagina inerti non so se vive o morte, ci immagina come cose. Ci immagina a volte vive per lavorare e curare ma ci immagina inerti in tutto ciò che riguarda l’uso sessuale dei nostri corpi.
di Beatriz Gimeno.
Da giorni, il volto sorridente, felice, emozionato della adolescente Lucía Pérez mi gira per la testa. Avrei preferito non vedere il suo viso né il suo sorriso. Avrei preferito non immaginarla, non immaginarla che è vissuta, che aveva sorriso, che era stata felice (a volte, credo) e che avrebbe avuto tutta la vita davanti a sé. Avrei preferito non incarnare questo dolore, non darle un volto né sorriso allo orrore. Ma l’orrore è arrivato con il sorriso di Lucia e, ora, mi è impossibile toglierlo dalla mia testa. Un uomo e il suo figliastro l’hanno rapita, drogata, l’hanno violentata anche analmente e alla fine le hanno messo un palo nell’ano. E 'morta di arresto cardiaco indotto dal dolore e dalla paura.
Ed io non sono in grado di fare uscire dalla testa questo dolore e questa paura. Non posso. Mi sveglio e la vedo, la vedo in questa settimana in cui si celebrano manifestazioni in tutto il mondo contro la violenza machista.
Ci vogliono vive, naturalmente, ma come ci vuole il patriarcato?
Il Patriarcato ci immagina inerti non so se vive o morte, ci immagina come cose. Ci immagina a volte vive per lavorare e curare ma ci immagina inerti in tutto ciò che fa nell’uso sessuale dei nostri corpi. Ci vogliono inerti quando ci vogliono violentare, impalare con pali o con i loro peni usati come armi. Perché il patriarcato non ci immagina umane, perché il patriarcato ci immagina e ci vede come oggetti scopabili, temporaneamente morte: a volte morte per sempre.
Rimanere ferma, paralizzata, come morta è ciò che ha fatto la giovane, che cinque presunti violentatori trascinarono in un portale violentandola vaginalmente e analmente, obbligandola a praticare a ciascuno di loro una fellatio, mentre gli altri guardavano, ridevano e registravano. Da queste registrazioni lei ha gli occhi chiusi, in stato confusionale, senza resistenza, è il corpo-cosa inerte ideale, fa ciò che deve fare e non si oppone. Gli occhi chiusi, i muscoli completamente consegnati, la mente completamente vuota; gli psicologi forensi hanno detto che lei non pensava, è riuscita in quel momento a non pensare.
Lei non ha provato tanto male quanto ne avrà sentito Lucia Pérez, tanto da potere allontanarsi da lì e camminare verso un altro luogo. Infatti, quando la violenza è cessata, secondo i testimoni, era disorientata e non sapeva, dove si trovasse. E’ riuscita a camminare e a lasciare dietro di sé il suo corpo.
Dato che questa giovane ha lasciato il suo corpo come morto a chi, in realtà, la voleva così, morta/cosa, c’è chi afferma che non c’è stato stupro. E i famigliari dei giovani del presunto branco di violentatori dicono che loro sono innocenti, perché sono giovani normali che non violenterebbero nessuno. Se lei fosse morta, se lei avesse rischiato la sua vita nel tentativo di difendersi, forse queste famiglie avrebbero dato valore allo stupro ma lei ha deciso di fare morire il suo corpo prima che la uccidessero in modo da uscirne viva. Alcuni vedono in quelle immagini consenso, il consenso di tante donne morte, di tante donne/cose, il consenso non allo stupro ma di fronte allo inevitabile: ci vogliono inerti, lasciateli fare e sopravvivrete.
Il giudice, viceversa, dichiara che quelle immagini sono di una violenza insopportabile. Il giudice ha saputo riconoscere cosa significa lasciare il corpo inerte, chiudere gli occhi, scinderti e sperare che l’orrore finisca. Il giudice, sì, ha visto l’atto di dominio assoluto e la terribile violenza esercitata su un corpo inerte ma vivo. In realtà, la differenza tra il giudice e chi non vede lo stupro in questo atto ha a che fare non con l’atto in sé ma con la percezione che si ha della vittima: se si riconosce piena umanità a questo corpo inerte oppure no. Il giudice la vede umana uguale a lui e per questo è in grado di vedere la violenza della quale è oggetto. Gli stupratori e i loro sostenitori la vedono inerte, quindi una cosa scopabile e lo interpretano come consenso.
Ti vogliono morta, inerte, cosa, oggetto scopabile, un buco e se il buco è di un altro allora lo si può sigillare con la colla, come ha fatto un uomo con la sua ex compagna: le ha chiuso la vagina con la colla. Lei lo aveva denunciato molte volte, aveva un ordine restrittivo, aveva trascorso anni minacciandola di ammazzarla, di porre fine a quella vita che, nonostante tutto, si impegnava a mantenersi indipendente dai desideri di lui. Lui la voleva morta e lei invece si impegnava a mantenersi viva: viva e senza di lui. Fino a quando le ha sigillato la vagina con la colla e l’ha quasi uccisa.
Tutti questi uomini sono completamente normali. La prima coppia che hanno ammazzato Lucia sono un uomo e il suo figliastro cui il primo stava insegnando come si trattano le ragazze: gli stava insegnando a divertirsi.
Il gruppo di Pamplona era il classico branco maschile che esce a caccia in ogni festa, uomini integrati, con lavoro, le cui famiglie non immaginano che siano stupratori, uomini con spose e vita normale.
Il terzo è un marito lasciato che si vede privato improvvisamente da quella vagina che crede sua.
E a ogni assassinio lo stesso problema: se avesse denunciato oppure no. Basta con l’assunto della denuncia. Basta fissarsi se avesse denunciato o no. Ci uccidono con la denuncia e senza di essa, con l’ordine restrittivo e senza. Ci ammazzano e ci stuprano perché il patriarcato non ci considera pienamente umane, perché ci immaginano cose, perché c’è un sistema di rappresentazione simbolica e materiale in cui ci fanno apparire come cose scopabili di proprietà maschile e perché questa mascolinità è bene apprezzata ovunque si eserciti, si rafforza quanto più scopano e quanto più si impongono sopra quei corpi che immaginano sempre inerti a loro disposizione.
Il danno non esiste nella immaginazione degli aggressori, perché possono soffrire solo i vivi e gli uguali e perché questi corpi disumanizzati non soffrono come umani.
Fino a quando non poniamo attenzione a loro, su come si costruisce questa mascolinità violenta, su come apprendono gli uomini a relazionarsi con le donne, su come ci vedono, ci immaginano e dove hanno appreso a immaginarci così.
Fino a quando non distruggeremo queste immagini, non ci sarà nulla da fare. Continueranno a immaginarci come morte e qualcuno di loro ci ammazzerà realmente.
Ed io ho ancora il sorriso di Lucia inchiodato nel profondo. E mi costerà molto liberarmi di lei. Aveva sedici anni, era una bambina. Dedichiamo qualche secondo per pensare al suo dolore. E, da qui, pensiamo a questo sistema fondato sulla disumanizzazione delle donne: cose a disposizione di loro.
Questo è il funzionamento di base del sistema patriarcale, che non dice che devi usare la violenza ma solamente disumanizzarci e da questo, tutta la violenza possibile.
(traduzione di Anita Silviano)

martedì 21 febbraio 2017

Non è vero che "le madri non sbagliano mai" (riflessioni sui fatti di Lavagna)



Sui fatti di Lavagna si leggono diverse opinioni, di cosidette "femministe" che si ergono a difesa dell'operato della madre dello sventurato ragazzo.
Ebbene, noi del Movimento Femminista Internazionalista siamo sicure nell'affermare che NO, questa madre non si può difendere in alcun  modo.
Vediamo perchè:
1) alla base di tutto questo c'è la convinzione bigotta e proibizionista (che noi avversiamo) che un ragazzo 15enne che si fa le canne, come migliaia di altri coetanei, sia "tossicodipendente". Questa convinzione si basa sulla TOTALE negazione del mondo degli adolescenti, sulla NON conoscenza di tale mondo, sulla TOTALE mancanza di volontà di conoscerlo
2) dall'alto di questa NON CONOSCENZA questa madre pensa bene di avvertire le forse dell'ordine per "salvare il figlio dalla dipendenza"
3) il ragazzo (adottato) vede i, finanzieri fermarlo a scuola, va nel panico e confessa i militari di avere qualche grammo di fumo a casa
4) tornando a casa i finanzieri PERQUISISCONO la sua cameretta, sotto l'occhio della madre che li aveva chiamati
5) il ragazzo si allontana e si BUTTA DALLA FINESTRA.

Ok, vogliamo pensare che la donna avesse "buone intenzioni" ossia che nel suo delirio bigotto avesse davvero pensato che "stava fecendo questo per il BENE del figlio"? Ok pensiamolo, ma tale pensiero si infrange sulle dichiarazioni della donna stessa al funerale del povero ragazzo.

Al funerale la donna, dopo un predicozzo totalmente fuori luogo verso "i giovani" RINGRAZIA pubblicamente le forze dell'ordine che "hanno risposto al grido di dolore di una madre disperata che voleva SALVARE il figlio dalla dipendenza PRIMA CHE FOSSE TROPPO TARDI.
EBBENE, era troppo tardi, il figlio è MORTO, cosa poteva accadere di peggio?
Le stesse forze dell'ordine hanno dichiarato che col senno di poi, NON AVREBBERO effettuato la perquisizione.
Il magistrato del tribunale dei minori ha anche dichiarato che avrebbero dovuto informarla e che lei NON AVREBBE AUTORIZZATO la perquisizione in assenza di adeguato supporto per il minore.

Ma la madre, no, resta convinta di ciò che ha fatto
MEGLIO un figlio morto che "DROGATO"?

Questa donna NON HA SCUSANTI

Il bigottismo non ha scusanti
La mancanza di amore e di ascolto non ha scusanti

Non si trattava di un caso estremo in cui un eroinomane o alcolista all'ultimo stadio esercitava violenza contro i familiari, come ne esistono e nei quali casi vengono spesso chiamate le forze dell'ordine come ultima razio di fronte alla violenza. C'era solo un ragazzino che si faceva qualche spinello, ma che la madre, nel suo fervore bigotto, ha individuato chissà quali terribili evoluzioni da stoppare prima " che fosse troppo tardi" tramite l'intervento poliziesco.
MA E' GIA' TROPPO TARDI.

La solerte madre ha evitato che il figlio diventasse "drogato", ha stroncato la cosa sul nascere, ora non accadrà più, di sicuro, perchè lui è MORTO.

Chi si erge a difesa di questa donna perpetua una visione essenzialista che vede l'appartenenza biologica e ancor peggio, quella di ruolo (ESSERE MADRE).
NON E' VERO che "le madri non sbagliano mai"

E sopratutto è necessario rivedere i criteri per autorizzare le adozioni: in questo caso il bigottismo ha fatto sì che questa madre pernettesse la morte del figlio, esponendo un ragazzo 15enne alla repressione delle istituzioni, senza un minimo di ripensamento nemmeno di fronte al cadavere del figlio suicida, a seguito dell'intervento da lei stessa causato.

Noi femministe materialiste e intersezionali NON ACCETTIAMO alcuna scusante, lottiamo perchè l'educazione de^ adolescent^ sia compeltamente scevra da convinzioni bigotte e sia basata sull'ascolto e la conoscenza.
Lottiamo anche per la liberalizzazione delle droghe leggere e per l'autodeterminazione degli adolescenti.

MANIFESTO
Del Movimento Militante Femminista Internazionalista
Il Movimento Femminista Internazionalista (MFI) assume il principio dell’articolazione di una politica propria e autonoma delle donne che sia capace di elevare il diritto all’uguaglianza come esigenza prioritaria per il reale cambiamento della società. E’ nostra convinzione che, perché questo possa avvenire, ci sia bisogno di un Movimento che metta al centro della sua agenda politica la lotta per l’equità. Tutti i partiti, quelli di sinistra compresi, si sono limitati finora a mere dichiarazioni d’intenti spesso di natura elettoralistica, circa l’assunzione di genere, lasciando intatto il sistema patriarcale sessista e capitalista, perché non hanno mai messo in discussione il fondamento stesso del dominio maschile e le sue spesso tragiche conseguenze.
Noi del MFI vogliamo invece creare un progetto politico con pratiche e organizzazione indipendente delle donne che assuma i principi di libertà, di giustizia,di solidarietà, tra uomini, donne, soggetti intersex. Affinché tutto questo sia possibile, le donne devono essere protagoniste, avere cioè potere decisionale in politica, ponendo fine alla strumentalizzazione per fini elettoralistici della loro partecipazione politica o vedendole, cosi come fanno i partiti , soggetti minorenni che bisogna guidare.
Il MFI si configura come rivoluzionario la cui base materialista e socialista ritiene offra maggiori possibilità di superare le diseguaglianze economiche e sociali come quella dell’oppressione della donna.
Da ciò discendono tutti i progetti e le iniziative politiche che il MFI considera rivendicazioni imprescindibili nella lotta per una società ugualitaria e d equa:
- Economia femminista, l’unica in grado di dissolvere questo sistema patriarcale e capitalista, che rivendica un cambio dei parametri economici tradizionali, assumendo il lavoro di cura, come uno ( e mai riconosciuto) motore dell’economia mondiale e non come un lavoro confinato nell’ambito della ‘casa’; una mentalità che, ha rafforzato negli anni, attraverso gli incentivi alle famiglie, il cliché del lavoro di cura come lavoro femminile improduttivo. Il cambio di prospettiva da parametri commerciali a parametri che mettano al primo posto la qualità di vita dei soggetti è requisito indispensabile per la costruzione di un modello di società egualitario
- Scuola, co-educazione sentimentale e sessuale. La co-educazione non deve intendersi come mera mescolanza di classi maschili e femminili che lasciano inalterato il carattere sessista dell’insegnamento scolastico, ma un’educazione che parta dall’uguale valorizzazione del maschile e del femminile, del pubblico e del privato, dei sentimenti, delle emozioni e del razionale. A questo proposito è indispensabile una valorizzazione dei contributi apportati dalla cultura femminista, della trasmissione dei saperi e conoscenze delle donne attraverso i secoli, l’abbattimento della gerarchizzazione del sapere androcentrico ed etero-normativo, dei pregiudizi e degli stereotipi dei mandati patriarcali sulle donne e il superamento dei presupposti che perpetuano le diseguaglianze, il sessismo e la violenza di genere negli adolescenti. Creazione di una commissione che riveda in chiave non sessista i programmi scolastici, è da lì che passa la cultura.
-Corpi, violenza di genere, salute,diritti sessuali e riproduttivi :
Programma Sanità:
1) abolizione dell'obiezione di coscienza negli ospedali pubblici
2) Potenziamento della rete dei consultori con diversificazione degli obiettivi (contraccezione, centri antiviolenza, educazione sessuale degli adolescenti, salute della donna e prevenzione, centri di aggregazione per la terza età rivolte alle donne anziane sole che permettano loro una socializzazione)
3) contraccezione gratuita e distribuzione profilattici nelle scuole
4) psicoterapia a carico del sistema sanitario nazionale, creazione di gruppi di auto aiuto sul modello dei gruppi di autocoscienza, con la supervisione di una psicologa, a cui le donne possono accedere gratuitamente presso i consultori
5) Corsi di educazione alla libera sessualità e per l'espressione completa della sessualità femminile
6) Liberalizzazione completa dei rapporti sessuali fra adolescenti
Questo cammino che, alcune di noi hanno deciso di intraprendere, apre alla possibilità di rendere visibile il femminismo politico quale strumento principale per abbattere il patriarcato, principale motore della diseguaglianza e discriminazione, per la realizzazione di un altro modello di società più giusto ed equo promuovendo la piena cittadinanza di tutti i soggetti della comunità civile.
MOVIMENTO FEMMINISTA INTERNAZIONALISTA.